lunedì 18 febbraio 2013

LE DEE PREISLAMICHE


IRAN PREISLAMICO


IL VIAGGIO NOTTURNO DI ISHTAR

Un antico canto babilonese parla dei sette spiriti che accompagnarono il viaggio notturno di Ishtar, sette demoni, distruttori per la mente, angeli creatori per l’anima.

- Sette sono essi! Sette sono essi!
I distruttori del cielo essi sono.
Nella profondità dell’Oceano,
La Gran Dimora, essi credono.
Maschi non sono,
Femmine non sono,
Essi sono turbini che si scatenano!
Mogli essi non prendono,
Figli essi non generano!
Né compassione, né benevolenza
Essi non conoscono,
Né preghiera né supplica
Essi non ascoltano!
Come cavalli selvaggi
Essi sono nati sulle montagne!
Nelle profondità dell’Oceano sette sono essi.
I nemici di Ea essi sono!
Malvagi essi sono!
Malvagi son essi!
Sette son essi, sette essi sono,
essi sono due volte sette! -

Ecco la distorsione nel passaggio tra femminile e maschile, distruttori per la mente, salvatori per l'anima:

- vengono dalla profondità dell’Oceano (inconscio),
- distruggono il cielo (la mente),
- sono turbini scatenati (il vento o spirito distruttore di illusioni),
- credono nella Gran Dimora dell’Oceano (l’unione in un tutt’uno cosmico che giace nel profondo dell’inconscio),
- sono simili a cavalli selvaggi (fanno parte della natura originaria, l’istinto),
- però nascono sulle montagne (l’istinto del profondo connesso alla mente, o istinto intelligente),
- sono i nemici del dio maschio (lo spirito distrugge ogni credo che non sia la natura).
- Per la mente sono malvagi, per l’anima sono i salvatori, per questo sono doppi: due volte sette.

Nella kabalah ebraica d’altronde i 72 geni sono angeli, tutti rigorosamente maschi, ma hanno un doppio negativo come demoni (i quilifot), l’equivalente delle tentazioni, o istinto represso che si riaffaccia alla coscienza.
Si, gli ebrei presero molto dai miti matriarcali, rovesciandoli però al maschile e rovesciandone i valori. Un tempo c'era la Madre, ora non più. Il femminile si è allontanato, come la Shekinah degli Ebrei, anche lei cercata e non più trovata. “Come mai sei salita tutta sui tetti?” si chiede nel tradizionale e religioso libro ebraico dello Zohar (il libro dello Splendore).  Se il femminile sta sui tetti significa che l'anima s'è rinchiusa nella mente, come dire che pensiamo molto ma non sentiamo niente.
Perchè è salita sui tetti? Forse perchè a stare coi maschi non ce la fa più? Eppure La Dea Astarte in lamina d’oro rinvenuta negli anni'80 in Siria risale appena al 1300 a.c.., ma i Siriani l'hanno dimenticata.



IL REGNO DI ARATTA

Nell'Iran sud orientale, dopo una piena, il terreno rivelò innumerevoli manufatti e tavolette incise con scrittura indecifrabile, risalente fino al IV millennio. C'è chi parla del favoloso regno di Aratta, menzionata nel mito di Gilgamesh, comunque migliaia di reperti furono trafugati prima che iniziasse una ricerca archeologica. Sui reperti di pietra clorite e di metallo compaiono spesso figure di Grandi Madri, ma nessuno l'ha citato, si parla solo di figure e animali. C'entra qualcosa che il territorio sia di cultura islamica?



TRA LE ROVINE DEL REGNO DI ARATTA LA SCRITTURA PIU' ANTICA DEL MONDO
 - Da Repubblica - JIROFT (Iran Sud Orientale 2007) - 

"Gilgamesh sii il mio amante! Fammi dono della tua virilità! Quando entrerai nella nostra casa la soglia splendidamente dorata bacerà i tuoi piedi". Così Ishtar, la dea dell'amore, si rivolge al leggendario re di Uruk nel più famoso poema epico lasciatoci dai sumeri.

Mentre nelle fonti letterarie vi sono innumerevoli riferimenti alla città e alle sue ricchezze, il nome di Aratta non compare in nessuna delle 450.000 tavolette di argilla arrivate inalterate fino a noi, nelle quali i sumeri diligentemente registravano scambi commerciali, elenchi dei tributi ricevuti dai sudditi, derrate agricole o editti dei re. Non può essere un caso, sostengono quegli archeologi che ormai si erano convinti che Aratta non fosse mai esistita.
Ma uno scavo recente potrebbe aver riportato alla luce il mitico regno. Se così fosse, sarebbe la scoperta archeologica del secolo. Una nuova Troia.
Che sia così, è il convincimento dell'archeologo iraniano Yussef Majidzadegh, che con una squadra internazionale guida gli scavi di Jiroft, nell'Iran sud-orientale. Majidzadeh sostiene che Jiroft è la più antica civiltà orientale, precedente di almeno un paio di secoli quella sumerica.

L'archeologo presenterà in questi giorni la sua tesi al convegno internazionale di archeologia a Ravenna. "È venuta alla luce una civiltà complessa, pari o per certi versi superiore a quella sumerica per dimensioni urbanistiche, per l'aspetto monumentale e la raffinatezza delle tecniche artistiche. Questo ci obbliga a gettare uno sguardo nuovo sulla formazione delle civiltà tra il IV e il III millennio", dice Massimo Vidale.

Nello scavo è stato trovato (finora) un mattone con un testo protoelamico, la cui origine si fa risalire a Susa nel 3000 ac., e tre tavolette con una scrittura ancora indecifrata.  Secondo Potts Jiroft corrisponde invece a una città più tarda, di grande ricchezza, Marhashi, la cui esistenza è attestata da diversi testi.

Jiroft è una città nella regione di Kerman la cui fonte d'acqua è il fiume Halil, che scende per oltre 400 chilometri dalle montagne del nord. Quasi un secolo fa un'alluvione cambiò il suo corso, ma nel 2001 straripò di nuovo, e questa volta sul terreno eroso dalle acque comparvero veri e propri tesori: monili, offerte funenarie, statuette, vasi di clorite. Il giorno dopo, centinaia di contadini impoveriti da anni di siccità accorrono sulle rive del Halil alla ricerca di oggetti antichi 5000 anni.

Si dividono il terreno, con il consenso delle autorità locali, in lotti di m 6 X 6, uno per ogni famiglia, scavano, tirano fuori oggetti di incomparabile bellezza. Diecimila buche, cinque o sei necropoli interamente saccheggiate, e interamente distrutto quel "contesto" che è fondamentale per gli archeologi per studiare e datare gli oggetti. Mercanti arrivano da tutto l'Iran, da Kabul, dal Pakistan - e poi da Parigi, da Londra, da New York. Comprano direttamente dal contadino che scava. Un vaso di clorite scolpito, 50 dollari; una statuetta intarsiata, 100; un'aquila fatta come una scacchiera con pezzi di turchese 150. Si ritroveranno nelle case d'asta europee e americane venduti per centinaia di migliaia di dollari. La passione per "i Jiroft" fa nascere addirittura una produzione di falsi. Anche il Louvre ha acquistato cinque pezzi (veri), di cui il governo iraniano sta cercando ora di tornare in possesso.

Il saccheggio durò un anno. Almeno 10.000 oggetti vengono portati via. Finché l'archeologo Majidzadeh ottenne dal governo iraniano di cominciare uno scavo sistematico, ma questo non significa che il saccheggio non continui, più silenzioso e con mezzi più sofisticati. I siti già rilevati sono quasi settecento, in un'area di 400 kmq.

"Cominciammo a scavare da due collinette, distanti l'una dall'altra 1400 m" racconta Vidale. "In quella nord è venuta fuori una piattaforma gigantesca a gradoni, uno ziggurat, con una base di 300 m X 300 e un'altezza di 17 m. L'intera superficie dell'altra collinetta, 200 m X 300, si è rivelata una struttura monumentale, costruita su un preesistente accumulo archeologico, circondata da mura larghe 10 m. Ad est della cittadella trovammo un'altra piattaforma, larga 24 m, che era il quartiere dei lavoratori del metallo. Insomma siamo di fronte a una città ben strutturata, con la cittadella amministrativa, il tempio, i quartieri residenziali e i luoghi di lavoro".

Vasi di clorite scolpiti con motivi di animali e di piante, soprattutto palmizi, forme umane e creature fantastiche, uomini-scorpioni, uomini-leoni, aquile, serpenti. Gli occhi degli animali carnivori sono tondi, quelli degli erbivori ovali come quelli umani. Ogni oggetto è preziosamente incastonato di turchesi, lapislazzuli, marmo, calcare bianco. In alcuni ci sono straordinarie raffigurazioni stilizzate di edifici, di città, di mura fortificate, che non hanno esempi nel mondo antico. -



LA GRANDE MADRE MISCONOSCIUTA

Ecco dunque, nessuna parola sulle numerose Grandi Madri rinvenute a Jiroft, eppure se ne sono trovati in quantità.
L’archeologo Girschmann ha scoperto nel 1931 molte reliquie della Grande madre in territorio arabo, i primi antenati adorati erano madri. Sul rilievo di Chaghagavaneh, a sud dell'Iran, furono rinvenute statuette della Dea madre di 4 millenni fa, nonchè una statuetta di 18 centimetri, in argilla, con orecchini, bracciale e collana verde smeraldo (museo di Filadelfia).
Nella regione di Gorgan dell'Iran, i più vecchi reperti di Dea madre risalgono a 5.000 anni fa.

La potente Anahita, detta l’Immacolata (toh chi si rivede...), aveva la doppia caratteristica di madre generosa e guerriera terribile. In qualità di “Madre d’oro” , era abbigliata con copricapo dorato, mantello ricamato in oro, e diadema tempestato di gemme. Venne adorata in tutto l’impero persiano per parecchi secoli, e gli Armeni l’invocavano così:
“Grande Signora Anahita, datrice di vita e di gloria alla nostra nazione, madre della sobrietà e benefattrice dell’umanità.

Sobrietà? Lo storico greco Strabone racconta che i Persiani facessero orge sessuali in quanto seguaci della Dea della riproduzione che “Purifica il seme dei maschi e il grembo e il latte delle femmine.” Che differenza coi costumi attuali dove le donne non possono mostrare neppure il volto.

Dopo l'occupazione dell'Iran dagli arabi di Maometto, il rispetto per la Dea, donna e madre, è stato bandito, proseguito solo in una dottrina religiosa segreta della cultura e letteratura iraniane, quella dei sufi.

I sufi sarebbero maomettani, ma stanno ai maomettani come i cabalisti agli ebrei, sono filosofi cercatori di conoscenza, portatori di antiche vie di saggezza. Per rendere l’idea riporto una novella sufi che, come le storie Zen, mirano ad insegnare qualcosa.



LA PRINCIPESSA RIBELLE

- C'era una volta un re convinto che gli insegnamenti ricevuti e le credenze alle quali aderiva corrispondevano a verità. Era un uomo giusto ma di vedute ristrette. Un giorno disse alle tre figlie: "Tutto ciò che possiedo è, o sarà, vostro. Siete venute al mondo grazie a me. E la mia volontà determina il vostro avvenire e, di conseguenza, il vostro destino". Persuase, due giovani si sottomisero docilmente.
La terza disse: "Benché il mio stato esiga che io ubbidisca alle leggi, non posso credere che il mio destino debba essere sempre determinato dalle vostre opinioni".

"Staremo a vedere", disse il re. Ordinò che venisse rinchiusa in una cella, dove languì per molti anni, durante i quali sia il monarca che le ubbidienti figlie attingevano abbondantemente alle ricchezze che le appartenevano di diritto.

II re pensava: "Questa figlia giace in prigione non per sua volontà, ma per la mia. Ciò prova ampiamente, per qualsiasi mente logica, che è la mia volontà e non la sua che determina il suo destino".

Di tanto in tanto, il sovrano faceva visita alla giovane figlia che, nonostante pallida e indebolita dalla reclusione, si rifiutava di cambiare atteggiamento. 
Infine il re perse la pazienza: "Se continui a restare nel mio reame, le tue sfide sembreranno indebolire i miei diritti. Potrei ucciderti, ma sono misericordioso. Ti manderò in esilio nel deserto abitato da bestie selvagge e da qualche eccentrico esiliato incapace di vivere nella nostra società. Li ti renderai conto se potrai vivere separata dalla tua famiglia e, ammesso che tu lo possa, se preferisci quella vita alla nostra". 
Il suo ondine fu eseguito e la principessa condotta ai confini del reame e abbandonata in una regione selvaggia. Tuttavia capì ben presto che una grotta poteva fungere da casa, che noci e i frutti provenivano dagli alberi e che il calore era un dono del sole. Imparò a incanalare l'acqua dalle sorgenti, a coltivare la terra e ad alimentare il fuoco. 
"Qui c'è una vita in cui gli elementi si armonizzano e formano un tutto" si disse. "Eppure non ubbidiscono, né individualmente ne collettivamente, agli ordini di mio padre, il re".

Un giorno arrivò un viaggiatore smarrito, uomo ricco e ingegnoso. Vedendo la principessa, se ne innamorò e la condusse nel proprio paese, dove si sposarono. Qualche tempo dopo, la coppia decise di tornare nel deserto per edificare una città grande e prosperosa. Gli eccentrici e altri esiliati, molti dei quali passavano per pazzi, si armonizzarono utilmente con quella vita ricca e varia. Sia la città che le terre che la circondavano diventarono famose in tutto il mondo, superando quelle del padre della principessa. Per scelta degli abitanti, la principessa e il suo sposo furono posti sul trono. Il re fini per visitare quel luogo strano e misterioso sorto nel deserto, popolato in parte da gente che sia lui che i suoi simili disprezzavano. Si fece avanti a testa bassa verso il trono dove sedeva la coppia, e quando alzò gli occhi poté sentire ciò che sua figlia mormorava:
 "Vedete, padre, ogni uomo e ogni donna ha il proprio destino e la propria scelta".

Il padre non ci fa una gran figura, però divide il regno tra le figlie, evidente retaggio del matriarcato, oggi nell'islam le donne sono bandite da ogni potere e non possono ereditare.




AFRICA PREISLAMICA

Che il nord Africa preislamico fosse legato al matriarcato lo testimoniano le preislamiche tombe libico-berbere, attribuite dai berberi Tuareg ad antichi abitanti dei massicci centrali del Sahara: i Djohala, ovvero "gente senza Dio", visto che non adoravano Hallah. 
I Djohala sono considerati esseri incestuosi puniti da Dio che li sterminò con pietre e sabbia. Non si scappa: quando il Dio Padre punisce un popolo significa che la sua civiltà è matriarcale.
Le antiche civiltà megalitiche furono infatti matriarcali, come le pelasgiche. In Algeria nord-orientale si ritengono i Djohala giganti per le pietre smisurate dei monumenti megalitici. Tumuli e cerchi di pietre fino a 200 m di diametro si trovano in tutto il Sahara e nelle regioni colonizzate dai Berberi, originari abitanti prima dell’invasione araba, dal 4.000 a.c. al 1500 d.c. 

Le tombe in pietra, tumuli ad anelli concentrici e costruzioni a mezzaluna, sono ben 45000, tutte preislamiche, legate a pratiche divinatorie, come quello praticato ancora oggi dalle donne Tuareg che dormono su una tomba per ottenere presagi in sogno. Il culto magico dei morti è femminile, perchè il patriarcato prende la distanza dai morti e dalla morte. 
Dagli orientamenti delle tombe si desume che già nel V millennio conoscessero il ciclo solare e le stagioni, con una grande unità culturale, matriarcale e magica di tutto il Nord Africa. 

In Nigeria la Dea courotrofa (che allatta) risale al 2500-2000 ac. Nell’Egitto predinastico ci sono le Dee a braccia alzate come a Creta in età minoica. E’ il gesto del vaso, il femminile recettivo dell’energia dell’universo, mentre nelle società patriarcali si giungono le mani a supplicare il Dio. Le donne si ergevano in piedi, ora ci si inginocchia e prostra, non si invoca gli Dei ma si striscia e supplica come schiavi. Iside, in alabastro e in terracotta, che allatta Horus, risale al 2500-2000 ac., ricorda qualcosa, anzi qualcuno?



NIGERIA

Nell'Africa occidentale, in Nigeria, vennero rinvenute diverse Dee courotrofe ( Dea che allatta), risalenti al 2500 ac. Avere come divinità una Dea che allatta un pargolo è rassicurante, significa rispetto e comprensione, soprattutto verso le donne e i bambini, ma anche verso tutti perchè tutti sono figli della Dea con pari diritti.

Naturalmente i paesi islamici si guardano bene di accennare a un antico matriarcato nel loro paese. per loro in antico c'erano solo tribù che si scannavano allegramente come oggi, facendo le varie pulizie etniche, naturalmente per questioni religiose. Infatti tra il 2011 e il 2012 ci sono state numerose stragi contro i cristiani, in particolare in occasione del Natale e della Pasqua, per una pulizia etnica: l'integralismo islamico ha posto un ultimatum a tutti i cristiani residenti nel nord di abbandonare tutto e andare via, ma i poveretti non hanno dove andare.



LA GRANDE MADRE DEI TUAREG 

Il monumento principale della necropoli di Abalessa è la tomba di Tin Hinan, la Grande Madre antenata dei Tuareg. Nella tomba è stato rinvenuto lo scheletro di una donna dipinto di rosso e addobbato con numerosi gioielli: otto bracciali di perle d'argento sul braccio destro e sette bracciali d'oro sul sinistro, oltre a un diadema d'argento sulla testa e una collana di oro e perle. 
Tin Hinan è venerata come antenata di tutte le tribù nobili. Accanto al corpo suppellettili e idoli di veneri steatopigie del periodo aurignaziano che testimoniano la continuità del culto della Grande Madre nel Sahara per tutto il neolitico e oltre, fino all'islamismo.

Tin Hinan ("Quella delle Tende") fu, secondo le tradizioni orali, la progenitrice dei Kel Ahaggar (Tuareg del Nord).
Tin Hinan sarebbe stata una nobile donna musulmana, giunta nella regione dell'Ahaggar provenendo dal Tafilalet (una regione del sud del Marocco) in compagnia di una ancella, Takama, in un'epoca in cui la regione era ancora abitata dagli Isebeten, il popolo che precedette gli odierni Tuareg, che praticavano l'idolatria e parlavano un dialetto berbero considerato "rozzo" dai tuareg.

Un colossale monumento megalitico, situato nei pressi di Abalessa,  viene da tutti indicato come "la tomba di Tin Hinan". Si tratta di uno di quei monumenti megalitici noti come édebni, formati dall'accumulo di massi che possono avere le forme più varie (a tumulo, a mezzaluna, ecc.), che per i Tuareg sarebbero le tombe degli Ijabbaren, popolazione di giganti dell'antichità.

Alcune campagne di scavo, in particolare quella ad opera di M. Reygasse nel 1935, hanno cercato di investigarlo. Il monumento contiene non meno di undici vani sotterranei circondati da una spessa muraglia. All'interno una tomba contenente uno scheletro di donna circondato da un ricco corredo funebre. L'analisi di tali resti ha dato questi esiti:"spalle larghe; piedi piccoli; statura molto alta (tra 172 e 175 cm). Patologia: lesioni evidenti di artrosi lombare localizzate a destra e accompagnate da deformazioni delle vertebre lombari e dell'osso sacro" Secondo la tradizione infatti la progenitrice degli Hawwara (cioè Ihawwaren, oggi Ihaggaren o Kel Ahaggar) era una certa Tiski "la zoppa".

Ma la datazione della sepoltura oscilla tra il IV e il V sec., precedente di circa tre secoli la nascita dell'Islam, nega che quella tomba fosse musulmana. Viceversa, sembra che il tipo architettonico del monumento funebre appartenga ad una tradizione che ha il Tafilalet come uno dei suoi centri più importanti. In definitiva, considerando anche il fatto che lo sposo di Kella non sembra risalire al di là del XVIII sec., sembra logico pensare che le tribù nobili dell'Ahaggar si siano forgiati una ascendenza estremamente antica impadronendosi della memoria, ormai persa nelle nebbie del tempo, di questa antica regina del Sahara.

Quando gli europei vennero a contatto con la civiltà dei Tuareg, rimasero impressionati da molti tratti di questo popolo così misterioso e così fiero. Un tratto che colpì molto la fantasia fu il ruolo della donna in quella società. Contrariamente agli usi delle altre popolazioni islamiche la società tuareg dava grande spazio alle donne, che non si velavano (a differenza degli uomini), che avevano una libertà di costumi impensabile, e oltretutto erano titolari del diritto di trasmettere il potere ai capi supremi per via matrilineare.





LA REGINA DI SABA

La Regina di Saba non fu una Dea ma una donna, una specifica sovrana del regno di Saba, citata nella Bibbia (I libro dei Re e II libro delle Cronache), nel Corano e nel Kebra Nagast, testo etiope di grande importanza storica, religiosa e archeologica. Nei testi biblici e nel Corano non viene mai chiamata per nome, ma solo come Regina di Saba o Regina del Sud; per la tradizione etiope il suo nome era Machedà, mentre alcune fonti arabe la chiamano Bilqis (talvolta trascritto Balkiyis). Il regno di Saba è configurato nell’attuale Yemen ed era conosciuto fin dall'VIII sec. ac. trovandosi menzionato in un documento relativo ad una vittoriosa campagna assira e in età greco romana è attestato il governo della regione da parte di regine.

Viene ricordata come regina ricchissima; nella Bibbia, fa visita a Salomone proponendogli enigmi ed indovinelli per metterne alla prova la grande saggezza. Secondo il Kebra Nagast, che racconta più estesamente delle vicende della regina, il sovrano etiope Menelik I era figlio di Machedà e Salomone.

Il regno di Saba era noto per le imponenti opere di regolazione idrica e di irrigazione. Aveva una diga lunga ben 3 km che irrigava i campi ben coltivati e prosperi ed estendeva il suo dominio oltre che sull’Arabia meridionale anche fino alle coste dell’Abissinia. La sua terra, per quanto desertica, a causa degli imponenti lavori di irrigazione, era diventata fertile e ricca.
Aveva un florido commercio degli aromi e delle spezie orientali vendute nei paesi del Mediterraneo e dell’India, e la prima moneta di Saba imitava quelle di Atene. Da un punto di vista storico tuttavia si pone la questione se la regina di Saba sia realmente esistita è controversa, non è strano?



I testi islamici non ne parlano in alcun modo, citano solo tribù come se prima di Maometto non fossero esistite civiltà, men che meno con regine. Esistono più prove dell'esistenza di Saba che non di Salomone, eppure nessuno mette in dubbio la sua esistenza.
Il 9 maggio 2008 è stato diffuso un comunicato dell'Università di Amburgo secondo cui una equipe tedesca, guidata dall'archeologo Helmut Zeigert, avrebbe scoperto i resti del palazzo della leggendaria "regina di Saba".
Le rovine ritrovate presso Dungur (Etiopia) e collocate sotto i ruderi del palazzo di un re cristiano, erano quelle di un palazzo databile intorno al X secolo ac. I resti del palazzo e degli edifici associati sono limitati ai più bassi livelli ed al podio, per un totale di circa 3250 mq. In cima, una doppia scala portava all'entrata del complesso che si apriva su uno dei quattro giardini che circondavano la struttura centrale. Certamente una reggia visto le dimensioni e la scarsità di abitanti all'epoca, eppure si insinua potrebbe trattarsi solo di una ricca dimora.

In particolare il professor Dr. Siegbert Uhlig, capo dell'unità di ricerca degli studi etiopi, ha affermato: "Ziegert non ha discusso le sue ipotesi con alcun collega che avesse lavorato nel campo degli studi etiopi o in quello dell'archeologia africana, non è un membro dell'Unità di Ricerca. I membri ed il capo dell'Unità di Ricerca degli Studi Etiopi dell'Università di Amburgo considerano l'identificazione pubblicata non scientificamente provata".

Dal Kebra Nagast si apprende che Makeda-Saba ormai è in patria ed ha avuto il figlio da Salomone: - “E il figlio raggiunse l’età di vent’anni, e andò dalla Regina sua madre, e disse a lei, «O Regina, fammi sapere chi è mio padre». E la Regina parlò con lui tristemente, sperando di spaventarlo così lui non avrebbe desiderato di andare da suo padre dicendo:

«Perché mi chiedi di tuo padre? Io sono tuo padre e tua madre; non devi sapere nient’altro». Solo in una società matriarcale una regina avrebbe potuto regnare al posto del figlio e rispondergli con autorità. Poco dopo però apprendiamo di una promessa di Makeda a Salomone:

“Ora c’era una legge nel paese di Etiopia, che solo una donna avrebbe potuto regnare, e che lei doveva essere una vergine che non avesse mai conosciuto uomo, ma la Regina disse a Salomone, 
«D’ora in poi un uomo che è del tuo seme regnerà, e una donna non regnerà mai più; solo il tuo seme regnerà e il suo seme dopo di lui, di generazione in generazione. E questo tu inciderai nei documenti dei rotoli nel Libro dei loro Profeti in color ambra, e tu lo metterai nella Casa di Dio, che sarà costruita come memoriale e profezia degli ultimi giorni».”

La seconda parte è chiaramente un'aggiunta patriarcale, anzitutto perchè la verginità nel matriarcato non era intesa come fisica, come ben spiega Ester Harding nel suo libro "I misteri della donna", tanto è vero che ad esempio i latini chiamavano "virgo" la donna non sottomessa ad alcun uomo, e "virgo intacta" la vergine fisica. Tutte le Grandi Madri per giunta erano chiamate vergini pur avendo amanti e figli. Ricorda qualcuno, o qualcuna?
Poi la regina non poteva sapere di avere un figlio maschio perchè partorì più tardi nel suo regno e l'ecografia non c'era. Per giunta non adorava il Dio di Salomone ma la Grande Dea. Insomma propaganda patriarcale per giustificare il passaggio del potere dalle regine ai re.



LA TRIADE

A Bagdad, un’antica divinità in argilla del III millennio ha una testa che sovrasta e accoglie in un manto tre piccole Dee, di cui solo la centrale ha corpo. L’elegante composizione a rombo allungato, quasi una croce, è la trinità femminile: tre Dee, ma insieme una sola, primo concetto della podestà creatrice, conservatrice e distruttiva della natura. Questo principio sarà poi negato attraverso l’immortalità dell’anima propugnata dalla divinità maschile, che conserva una trinità apparente, misteriosa perché incongrua, poichè nega la morte e quindi la perpetuazione della vita. Il concetto di sacra Trinità risale alle antiche Dee, i maschi l'hanno copiato ma non capito.



DEA ALLATU  o ALLAT  o  AL-LAT

E' il nome dell'antica Dea Madre che pure Maometto adorò, considerata poi una delle figlie di Allah insieme a Manat e al-Uzza, ella è menzionata nel Qur'an(Sura 53:19).
Ella era adoratissima e i suoi fedeli le offrivano sacrifici e libagioni dicendo:

"Al mare, al sale e ad Allatu, che è la più grande di tutti"

Il santuario e i templi a lei dedicati in Taif vennero demoliti da Abu Sufyan ibn Harb, per ordine di Muhammad, durante la spedizione di Abu Sufyan ibn Harb, lo stesso anno della battaglia di Tabuk, nell'ottobre del 630 dc). La distruzione degli idoli fu chiesta da Muhammad per sancire una qualsiasi riconciliazione con i cittadini di Taif che erano sotto costante attacco.

Specialmente nelle antiche fonti, Allat era uno dei nomi alternativi della Dea mesopotamica del sottosuolo, ora conosciuta come Ereshkigal. Ella venne venerata a Cartagine con il nome di Allatu.

La Dea compare in tempi remoti nei primi graffiti del Safaitic graffiti (Safaitic han-'ilat "La Dea") e sia i Nabatei di Petra che il popolo di Hatra la adoravano, equiparandola con la greca Atena e Tyche e Minerva romana. Spesso chiamata "La Grande Dea" in greco in iscrizioni multi-lingue. Secondo Wellhausen, i Nabatei che credevano al-Lat fosse la madre di Hubal (e quindi la suocera di Manat). Lo storico greco Erodoto, V sec, ac, la considerava l'equivalente di Afrodite:

Gli Assiri chiamarono Afrodite Mylitta, gli arabi Alilat e i Persiani Mitra, quest'ultima associata con la divinità indiano vedico Mitra. La divinità persiana e indiana risalgono alla divinità proto-Indo-iraniana conosciuta come Mitra.

Secondo Erodoto, gli antichi arabi credevano solo in due Dei::
Dioniso, chiamato Orotalt e la celeste Afrodite, chiamata Alilat. Essi dicono di tagliare i capelli come Dioniso nei templi, cioè radendosi il capo.

La tribù di AD di Iram delle Colonne è citata anche nella Sura 89:5-8, e sono state rinvenute molte iscrizioni dedicate a lei per la protezione di una tribù con quel nome.

Secondo il Libro degli idoli (Kitab al-ʾ Asnam) gli arabi credevano che Al-Lat risiedesse nella Ka ʿ bah e aveva anche un idolo all'interno del santuario: la sua custodia era nelle mani del Attab Banu ibn Malik del Thaqif, che aveva costruito un edificio su di lei.
Utilizzarono il suo nome per denominare i loro figli, chiamandoli Zayd Al-Lat e Taym al-Lat.  Al-Lat continuò ad essere venerata fino a che il Thaqif abbracciò l'Islam, e l'Apostolo di Dio, inviato al-ibn-Mughīrah Shu'bah, distrusse i suoi templi.

Sembra invece sia rimasta la Pietra nera, che parrebbe essere un meteorite. Le pietre nere venute dal cielo (probabilmente meteoriti anche perchè non scolpite, aniconiche) erano usate sovente come emblemi delle Grandi Madri. Sappiamo di quella iconica che riguardava la famosa Cibele di Pergamo, che i romani portarono a Roma secondo le prescrizioni dei libri sibillini, e quella di Diana tauride, nel tempio ove venne portata Ifigenia scampata al sacrificio del padre Agamennone.

Vuoi vedere che gli arabi adorano la pietra della Grande Madre?



ANTICHE SACERDOTESSE

"Dea velata e oscura, 
fuoco bruciante e acqua profonda dell’anima, 
solo in Te si cela il mistero velato agli ignari. 
Mistero negato dagli uomini 
che si aggrappano alla materia 
che pensano inerte e senz'anima,
perché non vedono oltre
e mettono lo spirito su una nuvola. 
I preti li sgridano 
perché la materia è peccato 
e la salvezza è nei cieli, 
ma i cieli sono vuoti e la terra è piena di vita, 
come si può chiedergli questo?"

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