lunedì 4 novembre 2013

VILLAGGIO PREISTORICO DI NOLA



IL VILLAGGIO DELL'ETA' DEL BRONZO ANTICO DISTRUTTO DAL VESUVIO

Importantissimo sito dell'Età del Bronzo Antico, il Villaggio Preistorico di Nola (la cosiddetta Pompei della Preistoria), è stato ritrovato in località Croce del Papa al confine tra i comuni di Nola e Saviano, sepolto dall'eruzione del Vesuvio detta "delle Pomici di Avellino" (1860-1680 a.c.).

Durante i lavori per la realizzazione di una costruzione nella località Croce del Papa è stato individuato un villaggio dell’Età del Bronzo Antico.

L’eccezionalità del ritrovamento  è che il villaggio, alcune ore dopo l’inizio dell’eruzione, dopo essere stato già ricoperto da circa un m di pomici e da pioggia di ceneri, fu investito da un’alluvione fangosa che, penetrata all’interno delle capanne, ne inglobò le strutture.

Questo seppellimento ha garantito la conservazione delle capanne attraverso il loro calco nel fango e nella cenere che le ha inglobate, sigillando anche tutte le suppellettili che si trovavano al loro interno al momento del disastroso evento.

Il fango ha effettuato un vero e proprio calco delle strutture in legno e paglia, riempiendo anche le suppellettili che vi erano sistemate, come vasi ed i forni.

Gli oggetti più pesanti rimasero al loro posto appoggiati a terra; altri invece furono capovolti o cominciarono a galleggiare nella massa fangosa, spinti verso l’alto; quelli appesi alle pareti restarono bloccati.

Il calco che si era formato ha fatto sì che numerosi dettagli siano ancora perfettamente leggibili, come i fasci di paglia o di giunchi che ricoprivano le pareti esterne o come i tessuti.

Per la prima volta è stato così possibile comprendere la forma che avevano queste costruzioni, l’orditura dei tetti e la carpenteria e quale organizzazione avessero dato gli abitanti agli spazi delle abitazioni, nello svolgimento delle attività di ogni giorno.




IL CALCO DI DUE CAPANNE

La "Pompei della Preistoria", i cui ritrovamenti sono ora conservati nel Museo Archeologico di Nola, conserva il calco in alzato di due capanne con centinaia di reperti e utensili dell'età del Bronzo Antico (1800 a.C.) sono conservati presso il Museo.

Al di sotto di queste, un saggio ha mostrato un pavimento di una struttura preesistente, rasa al suolo per costruire le nuove capanne. E poco lontano da questo scavo, in località Masseria Rossa, è stato individuato un altro abitato successivo a questo, probabilmente il risultato del ritorno degli indigeni in queste zone dopo l'eruzione.

Le capanne avevano pianta a ferro di cavallo, con ingresso nella parte diritta, protetto da una tettoia sporgente, con una porta, che si apriva verso l’interno.

Dentro erano a due navate divise da tramezzi di legno in due o tre ambienti comunicanti. Dei pali assiali reggevano il tetto, che aveva una forte pendenza e poggiava a terra e forse anche su dei pali più corti, posti lateralmente all’interno della capanna.

Le pareti oblique erano tenute da paletti verticali (ogni 40 cm) e orizzontali (ogni 25 cm), ricoperte da fasciami di giunchi o paglia, forse impermeabilizzati con strati di argilla, che toccavan terra. I paletti erano legati da corde, le cui tracce sono rimaste impresse nel fango.

All’interno, sui lati delle capanne, erano posti graticci verticali di rametti intrecciati, che creavano con la parete obliqua un'intercapedine. Nella capanna più ampia (n.3) probabilmente era stato creato un ammezzato, cui si accedeva con una scala a pioli di legno, di cui si è trovata l’impronta.

La zona absidale di fondo veniva utilizzata come dispensa in cui erano disposti i grandi vasi pieni di derrate, mentre gli ambienti centrali, con il pavimento in battuto in cui era inserito il focolare, il forno e delle fosse (per la raccolta dei rifiuti) erano usati come luoghi di soggiorno.

Le capanne sono di diverse dimensioni:
la più larga (n.3) è di m 15,20 x 9 x 5 di altezza;
la più lunga (n.4) è di m 15,60 x 4,60 x 4,50;
la più piccola (n.2) di m 7,50 x 4,50 x  4,30/4,50.



IL VILLAGGIO

Le tre capanne facevano parte di un villaggio che conteneva una decina di capanne, tutte orientate
NO – SE, ognuna circondata da un recinto. Tra di esse si snodavano vialetti realizzati con un misto di terra battuta, lapilli e pietre accostate.

Le tre capanne toccano il confine di altre zone recintate, tra cui un’area quasi circolare, usata per la battitura dei cereali. Una recinzione di argilla e legno era utilizzata al momento dell’eruzione per ospitare nove caprette, tutte gravide.

Ad ovest dell’abitato, dentro altri recinti erano ospitato pecore, mucche e maiali.

L’umidità del terreno ha conservato le impronte degli zoccoli accanto a impronte di piedi nudi di uomini, solidificate dalla caduta di sabbie calde e lapilli.  



SCOPERTA UN'ALTRA CAPANNA

Nel cantiere dove avrebbe dovuto sorgere un palazzo spunta una capanna della preistoria. La zona, ricchissima di testimonianze archeologiche è sempre la stessa: tra la Vigna e Montesano, a due passi dalla necropoli del bronzo antico. E adesso nessuno si sbilancia sul futuro dell’area: case e parcheggi o un nuovo sito su cui puntare..
.
Una scoperta che di certo per il momento offre ulteriori e importanti spunti agli studiosi: i fori allineati e il corredo ceramico affiorati in superficie indicano che lì gli avi dei nolani avevano ripreso a costruire dopo che, 4000 anni fa, l'eruzione del Vesuvio, detta della Pomici di Avellino, aveva raso al suolo i loro villaggi.

La capanna sarebbe dunque di un'epoca immediatamente successiva al bronzo antico del villaggio di Croce di Papa a Nola.

I reperti sono emersi nper un sondaggio effettuato dalla Sovrintendenza in un'area di interesse archeologico e sulla quale il Comune di San Paolo, guarda caso, ha rilasciato una concessione edilizia per la realizzazione di un palazzo.

Il settore coincide «con una parte del perimetro esterno e con un vano interno della capanna». Il resto della costruzione si estenderebbe nella zona del parcheggio dei condomini del palazzo.

Di qui la necessità di estendere le operazioni di scavo per consentire il recupero delle altre suppellettili conservate nella capanna. (Ma si può sacridicare un sito archeologico a un parcheggio?...)

Il ritrovamento è già un trait-d'union tra i due periodi storici: il bronzo antico e il bronzo medio. Il reperto, appena a cinquanta cm dalla superficie, rischierebbe di essere distrutto nella realizzazione dell'area di sosta.

CONTENUTO DI UNA CAPANNA

IN SENATO
(Vilma Moronese)

"Certo che in Italia siamo bravi a utilizzare le nostre risorse, i nostri siti archeologici e culturali come dei tappetini dove continuamente ci puliamo i piedi. 

A cosa mi riferisco? 

All’ultima assurdità che riguarda un bene, che in realtà è un tesoro dal punto di vista umano, storico e culturale.

Nel 2001, durante gli scavi per la realizzazione di un centro commerciale fu ritrovato a Nola  un Villaggio preistorico risalente all’età del bronzo. 


RICOSTRUZIONE DI UNA CAPANNA
Innumerevoli oggetti, capanne quasi perfettamente conservate, e tanto altro ancora venute alla luce dopo che erano state totalmente sotterrate, sommerse dall’eruzione del vesuvio. 

Un tesoro di inestimabile valore che giaceva lì da 40 secoli e che in modo del tutto casuale e fortuito è venuto alla luce. 


Qualsiasi stato, che non fosse l’Italia, avrebbe non solo cercato di salvare il sito stanziando fondi per proseguire i lavori di scavo alla ricerca di ogni possibile reperto ma lo avrebbe valorizzato e manutenuto al fine della conservazione.
Invece cosa leggo in un articolo di alcuni giorni fa? 

Che sono stati predisposti i lavori e le impalcature per risotterrare il sito archeologico nella speranza forse che le generazioni future possano avere piu’ a cuore di noi siti di questo prestigio al punto tale da voler investire dei fondi per la manutenzione degli stessi.

Ritengo inaccettabile che questa notizia stia passando in silenzio senza che nessuno vi dia risalto, ritengo inaccettabile che non vi sia una presa di posizione da parte del nostro ministero competente. 

Anzi preannuncio che come M5S provvederemo a richiedere che il Villaggio Preistorico di Nola divenga un affare assegnato della competente commissione ai Beni Culturali sperando nell’appoggio anche degli altri gruppi parlamentari."



L'INCURIA

A Nola (provincia di Napoli),  circa 3800 anni fa, le capanne erano fornite di forni e recinti per animali: capre e forse cavalli o asini.

IDOLO FEMMINILE
1800 - 1600 A.C.
Suppellettili varie hanno lasciato intuire una vita svolta prevalentemente nell’aia, e all’interno dei ripari di legno, dove gli indigeni si proteggevano dalle intemperie e dalla notte.

Il sito archeologico nasconde ancora altri manufatti dell’epoca del bronzo. Probabilmente vicino a questo agglomerato ve ne saranno altri che andrebbero cercati e riportati alla luce.

Purtroppo, l’area archeologica attuale è stata invasa dalle acque e da smottamenti di terreno che forse hanno definitivamente distrutto ciò che la furia del vulcano aveva invece conservato.

L’unica evidenza di resti umani, che è anche il primo ritrovamento di vittime di un’eruzione preistorica, sono i due scheletri rinvenuti a San Paolo Belsito nel 1995, alla base dello strato di lapilli dello spessore di circa 1 m.

Questi resti appartenevano a una donna di circa venti anni e a un uomo di oltre quarant’anni che si trovarono proprio sull’asse di maggiore intensità della pioggia di cenere e lapilli.

Nelle capanne sono stati ritrovati più di 200 vasi alcuni dei quali contenevano cibo.

Anche nei pressi del forno della capanna 4 sono stati ritrovati piatti, tazze, e vasi, di cui uno ancora sulla soglia.




IL COPRICAPO

Ed ecco il recupero di un reperto unico al mondo: un copricapo decorato con piccole placche e lamine di osso (ricavato da zanne di cinghiale).

COPRICAPO IN ZANNE DI CINGHIALE
Forse apparteneva al capotribù o allo "stregone".

Nel terreno argilloso dello scavo gli archeologi hanno anche recuperato le impronte di spighe di grano, di felci e di un brandello di tessuto vegetale.

Un'altra importante testimonianza sulla quale non vi è ancora una conferma certa sarebbe la presenza di un'intercapedine all'interno della parete di una capanna ove è presente anche un forno, il che farebbe presumere che a quell'epoca gli uomini conoscevano già il modo di riscaldare gli ambienti come successivamente avrebbero fatto i Romani nei loro impianti termali.

Infine sono stati rinvenuti i resti di tredici capre, segno che il villaggio venne abbandonato all'improvviso a seguito di un'eruzione vulcanica, quella che dagli archeologi e dai vulcanologi è detta delle "pomici di Avellino" (circa 1850 a.c.).

Delle tre capanne scoperte, una dovrebbe essere ricostruita nel Museo archeologico di Nola, la seconda al Museo archeologico di Napoli e la terza dovrebbe restare sul luogo per costituire il nucleo centrale del parco archeologico della preistoria che si intende realizzare.




SALVIAMO IL VILLAGGIO PREISTORICO DI NOLA

http://www.fanpage.it/salviamo-il-villaggio-preistorico-di-nola/

È lì da quaranta secoli, anno più anno meno, il Villaggio preistorico di Nola, risalente all'Età del Bronzo, destinato a ritornare nell'oblio per chissà quanto tempo. Era il 2001 quando durante gli scavi per la realizzazione di un centro commerciale venne alla luce e attirò l'attenzione del mondo scientifico.

CAPANNA N.3  (1800 - 1600 A.C.
Un villaggio di quattromila anni fa con due capanne perfettamente conservate, emerse in seguito ai lavori di scavo, e altre decine ancora sommerse.

Custodite dal fango e da altri materiali venuti giù con la grande eruzione del Vesuvio denominata delle Pomici di Avellino.

Una testimonianza di inestimabile valore della vita al tempo di una delle più potenti eruzioni della storia del vulcano napoletano (molto più potente di quella pompeiana).

Furono ritrovati oggetti della vita quotidiana, intatti. Una vera e propria miniera di informazioni capace di attirare turisti e ricercatori da ogni parte d'Italia e d'Europa.

Questo, almeno, si pensò al momento del suo ritrovamento.


















Dopo dieci anni, dal ritrovamento, la favola moderna del Villaggio preistorico di Nola è giunta al capolinea.

VASI E SUPPELLETTILI
Pochi giorni fa la Cgil della cittadina a Nord di Napoli ne ha dato conferma.

I lavori predisposti e le impalcature montate serviranno a risotterrare il sito archeologico sino a quando, come sottolineava già da tempo il presidente dell'associazione Merides, Angelo Amato de Serpis, «persone più degne di noi potranno apprezzarlo davvero».

L'associazione, che ha curato il sito e gestito le visite dei turisti con tutte le sue forze durante gli ultimi anni, lanciò anche un appello agli imprenditori italiani, inascoltato, per prendersi cura dell'area.

Troppi i problemi legati alla stabilità del sito, soprattutto a causa di una falda acquifera che con il tempo ha lentamente ricoperto il villaggio, consegnando l'area ad un triste degrado.

Salvatore Velardi, responsabile della Cgil nolana, consapevole della gravità e allo stesso tempo della necessità di una decisione simile per salvare il sito, ha voluto parlare ancora una volta di speranza e di occasione mancata sospirando che «sarebbe il caso di mettere in campo interventi straordinari anziché rinunciare e sperare che i nostri figli o nipoti siano più bravi di noi."

IMPRONTA DI UNA SPIGA DI GRANO
Perché «se ci arrendiamo perderemo un’inestimabile ricchezza culturale, oltre ad un volano di sviluppo impareggiabile».

Ma tant'è.

Nell'Italia che investe 1 miliardo di euro per realizzare il contestato MOSE di Venezia, non si riesce a far quadrato per salvare una testimonianza unica ed irripetibile come un villaggio preistorico perfettamente conservato di 4000 mila anni fa.

Pare che il ministro Bray dopo Pompei abbia intenzione di occuparsi anche dell'area archeologica di Nola. 
(Se se ne occupa come si è occupato di Pompei che continua a crollare siamo rovinati)

In alternativa ci sarebbe da auspicare che qualche imprenditore voglia farsi carico dei lavori di salvaguardia del sito; in fondo se abbiamo accettato (giustamente) che Mr. Della Valle sponsorizzi il Colosseo, perché non ripetersi con il Villaggio preistorico.
(Questo sembra più realistico)

Staremo a vedere.

Per ora la speranza è che gli aggiornamenti sulla vicenda non debbano scriverli i nostri figli o i nostri nipoti, domandandosi, in un futuro chissà quanto lontano, come è mai possibile che lasciammo sprofondare nell'oblio, una volta di più, la piccola e strepitosa Pompei nolana.



IL COMMENTO

Cosa si può dire ancora di questo sito?

- Che 3800 anni fa l'uomo non scheggiava pietre come un idiota come ci hanno insegnato nei libri di storia.

- Che l'unico idolo ritrovato per ora è quello femminile di una Grande Madre.

- Che l'impronta della spiga di grano testimonia che esisteva l'agricoltura, perchè quella spiga non è di grano selvatico ma di grano coltivato.

- Che il brandello di tessuto vegetale dimostra che sapevano filare e tessere facendo coperte e tessuti, e sicuramente anche stuoie.

- Che il copricapo di zanne di cinghiale è stato posto su un manichino femminile perchè somiglia tanto agli antichi copricapo femminili delle statue delle Grandi madri.

- Che oltre a fabbricare ottime capanne, sapevano creare vasi, grandi orci, vasi a punta da interro, pentole, bicchieri, boccali, brocche, bracciali, gioielli, ornamenti.

- Che avevano forni pertanto cuocevano il pane e cucinavano, e scaldavano la capanna, forse addirittura scaldando l'intercapedine.
E se anche così non fosse creavano comunque intercapedini per cui ne conoscevano il potere dell'isolamento termico, intuizione intelligente e moderna che manca molto nelle abitazioni di oggi.

- Che non avevano simboli di potere, nè effigi di guerrieri.

- Che erano una società matriarcale o con forti retaggi matriarcali.



PER CUI:

Era una tribù creativa che viveva in pace e accanto alle altre tribù dei villaggi vicini. Coltivavano la terra, si vestivano e si ornavano, avevano non soltanto le suppellettili per la tavola ma anche quelle più belle per rendere accogliente l'ambiente.
Le capanne erano elaborate e conoscevano l'arte della costruzione e dell'architettura, si adornavano con avori, conchiglie e gioielli vari.
Eseguivano vasi di grande bellezza che sembrano bicchieri di un castello medievale. La loro vita era pittosto spensierata, senza gerarchie di potere e simboli di guerra.
Si, non poteva essere che matriarcale.

4 commenti:

  1. nessuno ci ha insegnato che 3800 anni fa scheggiavamo pietre come idioti (peraltro vi voglio vedere a voi a scheggiare pietre, altro che idioti) ma che eravamo alla fine media età del bronzo, in Campania come nel resto d'Europa, quindi si fondeva bronzo da più di un migliaio di anni e da ancora prima si fondeva il rame. Basterebbe aprire i libri di storia...I guerrieri li avevano. Non c'è sicurezza che l'oggetto ritrovato sia un idolo nè che si tratti di una donna. Non è una società matriarcale, ahimè, ma fortemente legata alla discendenza maschile.

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  2. magari non hanno conosciuto la guerre ma ormai è più che dimostrato che le società matriarcali praticavano il sacrificio umano e anche il cannibalismo. quindi ci risparmi la sua conclusione non obiettiva che dice che perché non si è trovato traccie di armi allora ne di gerarchie (il che non è vero perché il copricapo in zanne di cinghiale, uno degli animali sacri della della grande madre è evidentemente un segno di gerarchia) era una società "spensierata" e quindi non poteva essere altro che matriarcale.
    il modello matriarcale non era privo di orrori (sacrifici umani, antropofagia, mutilazioni ai bambini maschi...) e problemi anche lui. ha avuto anche tante guerre.

    solo a vedere quella poca obiettività nella conclusione (e in generale di una grande parte delle femministe nei confronti della scienza e della storia) si può già intuire che il femminismo, se dovesse imporsi nel futuro, non darà di sicuro migliori risultati del modello attuale, magari potrà essere peggio, ma di sicuro migliore no!

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  3. Unknown ma dove ti sei documentato, su Topolino?

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  4. Alessandro Pintucci, il matriarcato risale a 35000 e forse 40000 anni fa.

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