lunedì 6 maggio 2013

DEMETRA E PERSEFONE - II

Sulla Terra

L’autunno copre il cielo di veli grigi, e sfuma la nebbia dai monti fino a valle: i confini del mondo si velano di mistero. Sfilano in cielo stormi migratori, e la cornacchia grida dai rami protesi sullo stagno opaco. I rampicanti del tempio si caricano di giallo e rosso e il merlo saltella nel recinto sacro cercando resti di focacce. Le oche rabbrividiscono al primo vento del nord, che porta a folate profumi di salsedine e legna bruciata.

Persefone (o Core) s’è persa nei campi mietuti, e i papaveri giacciono al suolo come sangue rappreso. Una rana salta nello stagno con cerchi pigri sulla superficie oleosa, poi l'acqua torna immota. 


Nel Tempio

La giovane sacerdotessa ravviva il fuoco nel sacello, nel tempio guarnito a rami di quercia, ai piedi dell’erma vuota, dov’era la statua della Madre. Ora l’effigie giace in un antro buio, vegliato dai serpenti e dal lamento della civetta. 


Sulla Terra

Demetra, (o Cerere) corre per la terra in cerca della figlia perduta, e alla vista fuggono le fiere e le ninfe si coprono il volto. Corre a piedi nudi senza un grido, gli occhi sbarrati e la bocca muta dal dolore.

I rovi strappano i bordi della tunica, cadono i nastri al suolo come fiori appassiti. Vaga sui monti e il vento alza la veste come un’ala di corvo, e solleva i capelli come i serpi della Medusa. Giunta alla vetta guarda l’aria che ondeggia di caligine e foglie morte, i ruscelli torbidi di fango e i boschi spogliati dal vento. Ansima il petto della Dea come una fiera che rincorre la preda, spacca rabbiosa un ramo secco che rotola in basso, e getta al vento un ruggito dolente:

Persefoneeeee!!!”

L’Eco obbediente rimanda il grido su vette e valli; gli animali corrono nelle tane, la terra ha un fremito, nel cielo un fulmine ferisce le nubi gonfie di pioggia, che si vuotano al suolo come mammelle di giovenca. Scende nell’aria un pianto infinito, e il cuore della Dea esplode di dolore: “Persefone, figlia mia, adorata figlia, carne della mia carne, cuore del mio cuore!” -

L’universo piange con lei, gli animali chinano il muso a terra, gli uomini sostano tremanti, i fiori appassiscono, le madri non hanno più latte. La Dea piange e grida, e maledice il ruscello, e i monti, e il bosco, e i campi coltivati, perché tutti interroga e nessuno sa dire dov’è la “piccola Dea”, il frutto delle sue viscere. Demetra maledice il mondo, e le piante non danno più frutti, e gli animali non sgravano più, e i grembi delle donne sono sterili. Non è vero che Zeus l’abbia aiutata, nessun Dio l’aiuta, presi come sono dalle beghe sul dominio degli uomini. Nessuno può aiutare Demetra, se non Demetra stessa.

Riprende la corsa, scende negli orridi e nei crepacci, sale sulle vette innevate, passa nei villaggi come un tuono e gli uomini si chiudono in casa. Ricorda quando pettinava i riccioli della “piccola Dea”, intrecciandoli di fiori profumati, quando correva nel bosco tenendo stretta la piccola mano, o curava con foglie e baci le piccole ferite alle ginocchia, e la faceva cavalcare sulle giumente mansuete, o rotolava con lei tra i campi fioriti del foraggio e le messi mature.


Nel tempio

Nel tempio vuoto della Dea le sacerdotesse levano un coro:

- Il bel volto della Dea Madre è distorto da rabbia e dolore,
ora Erinni furente, ora Niobe affranta, o Gorgone minacciosa.
Gli Dei fingono di non vedere, perché nel dorato Olimpo,
così alto nelle nubi perché non giunga il lamento degli uomini,
nulla deve turbare la pace. Gli Dei non sopporterebbero un dolore così. -

Una sacerdotessa inizia a colpire ritmicamente un tamburello,
un suono uguale e monotono che solleva nebbie e torpori.
Gli uccelli non cantano più, nel sacro sacello il fuoco s’è spento
e neppure la Gran Sacerdotessa può riaccenderlo. 


Sulla terra

La Dea grida più forte del vento e del tuono:
Persefoneeee!!!!… “
e gli uomini si tappano le orecchie straziate,
gli animali ficcano la testa nelle tane per non udire. 
Persefoneeee!!!!!” 
Solo gli Dei non hanno un fremito, perché sono sordi da sempre.

- Tu Demetra, generosa Dea, che ridevi alla gioia e soffrivi al dolore di tutti,
sei sola, nel dolore che mille ere non potrebbero mitigare,
e daresti tutto, bellezza, gioia, potere, immortalità,
per salvare la “piccola Dea! -
Ora il suono del tamburello è più lento e più cupo.

- La Madre non ha più lacrime, il cielo è muto, il tempo sospeso.
Sul monte ovattato di neve sente le forze abbandonarla,
s’aggrappa al pelo di un’orsa in cerca della tana invernale. 
L’animale si ferma e le unghie della Dea disperata lacerano la pelliccia.
Scorre un piccolo rivo di sangue, che colora la neve di vermiglio.
Demetra chiede perdono all’animale che le strofina il muso sulla veste,
senza parlare si comprendono, e per incanto l’una diventa l’altra, un unico essere.
Il volto della Dea di nuovo è purissimo e bello, e ha negli occhi la fiamma…. -


Negli Inferi

Persefone guarda la tetra prigione, il candido volto è solcato di lacrime, il cuore colmo di terrore. Lei, vezzeggiata dalla più amorosa delle madri, è scaraventata in un buio senza fine, denso d’ombre, demoni ghignanti, e mostri coperti di sangue.

Un regno dominato da un Dio oscuro e terribile, che odia vita e gioia: una belva assetata che si nutre della sofferenza e del terrore degli altri. L’ha rapita mentre ornava di papaveri la giovane chioma, col sole dell’ultima estate che spruzzava oro sull’armilla e le fibule d’argento, tenero dono di sua madre.

Perché il tempo non s’è fermato, perché sua madre ha allungato la veste che s’era fatta corta, perché la vita non è un’eterna infanzia, ed è cresciuta destando la brama della belva? Perché “proprio a lei” è successa questa cosa orribile che le fa maledire la nascita? Il Dio oscuro l’ha detto, così crudele che la “piccola Dea” vorrebbe morire per non saperlo. 
A lei, si, proprio a lei, perché non c’è gusto a togliere dal mondo dei vivi chi è già morto per la sofferenza, chi maledice l’esistenza priva di gioia e d’amore, ma a chi desidera e ama la vita lui toglie tutto, solo questo lo compiace. 
Persefone, (o Proserpina, o Core) maledice la sua immortalità, che le impedisce di morire. 


Sulla terra

Ora Demetra sa: sa che né l’aiuto degli Dei, né le preghiere o i sacrifici degli uomini
possono nulla per lei, ambedue si difendono dal buio del profondo, perché né uomini né Dei sanno della morte. Mortali o immortali che siano, si tengono fuori dal mondo dei morti. Demetra “sa” che Persefone non sta più sulla terra, o avrebbe risposto nel vento al suo richiamo d’amore. Ora sa: Persefone è nel Tartaro, nel mondo senza sole nè luna, privo di speranza, dove tutto è dolore.


Nel tempio

Accanto al fuoco spento, accoccolate in terra, le sacerdotesse, che hanno indossato le vesti brune, intonano un peana:

- Demetra, la Madre, annoda le chiome come una mortale in lutto,
straccia le vesti al ginocchio che non le intralcino il cammino,
il volto è pallido, ma gli occhi ardono come fiamma.
Disegna col sangue dell’orsa, che ora è il suo sangue, un cerchio in terra,
accende un tizzone e lo conficca rovesciato
spegnendo la fiamma nel cuore della terra.
Siede nel cerchio e mormora parole terribili,
che nessun mortale potrebbe udire senza morirne
. -


Negli Inferi

Persefone vive un incubo senza risveglio, ha freddo e fame, ma non vuole vesti né cibo, perché ogni cosa, nelle tenebre là sotto, sa di dolore, morte e malvagità. Tutto è contaminato. Il Dio oscuro è nebbioso nelle forme, e orrido, perché “la piccola Dea” intravede un lucore di squame, ombra di corna, pelo irto e ispido, coda puntuta, e un lezzo di putredine. Le offre vesti, cibo, gioielli, e ogni volta lo respinge, col terrore che la violenti sadicamente, in un orrore senza fine.

In cuor suo invoca la madre, ma Ade, (o Plutone?), che sa ogni cosa, le ripete che alla Dea, come a tutti, mortali e immortali, è interdetto il mondo degli Inferi. 
- E se anche le dessi il consenso, - aggiunge con voce di ghiaccio - non lascerebbe il suo comodo mondo per cercarti nell’Ade. Ora hai solo me. - 
Persefone non risponde, perché ha troppa paura, ma è certa, divinamente certa, che sua madre per lei affronterebbe ogni cosa, perché le è più cara di se stessa. Questo le impedisce d’impazzire, un filo di speranza, anche se non sa come sua madre potrebbe trarla da lì, in quel mondo senza uscita, con un Dio così potente che neppure gli Dei oserebbero sfidare.


Nel tempio


Le sacerdotesse ad occhi chiusi ondeggiano come canne al vento e le labbra si muovono all'unisono nell'antico peana, più antico del sapere degli uomini:
- Demetra mormora antiche parole,
- dimenticate da secoli,
- pronunciate nelle notti senza luna,
- quando il buio era più buio,
- quando non esistevano templi
- ma riti nelle caverne e nei boschi.
- Quando le donne bagnavano la terra
- col mestruo mescolato a saliva,
- e davano alla Dea la forza d’uscire dalle tenebre.

Ora Demetra fa il rito delle antiche sacerdotesse,
Demetra fa il rito di Demetra per Demetra,
e sparge in terra il sangue mestruale,
e fa colare la saliva.
La terra ha un tremito,
il suolo vibra paurosamente,
ma la Dea non rompe il rito,
le mani sono artigli,
la pelle dura come corteccia d’albero,
e gli occhi pura fiamma.

Tuonano il cielo e la terra,
si spacca la roccia e appare l’orrida bocca,
salgono i miasmi della fetida caverna,
brulicante di ragni, serpi e pipistrelli.
La Dea è ferma come la roccia.



Negli Inferi

Persefone non ce la fa più in quella fredda grotta e s’arrischia a vagare, tra ombre che strisciano sui muri e aliti ansimanti.

Continua ad andare, sperando un po’ di pace, un luogo ove posare il capo, dormire e dimenticare quell’incubo. Vaga a lungo e non sa quanto, perché nel regno c’è eterna notte senza luna. E’ sempre più pallida e appare come un’ombra, spera non veder più l’orrido Dio, e per fortuna non le appare. Sempre più affamata e gelida la “piccola Dea” vaga per i meandri dell’Ade e si perde, che senso ha perdersi in un luogo già perduto alla luce degli Dei e degli uomini? 

Dopo caverne, cunicoli ciechi, scale su precipizi, ponti sospesi e ripidi corridoi, trova uno spazio più aperto, dietro una grata. I capelli sono opachi, i teneri piedi piagati, la gola arida e secca… e dischiude il cancello. Nell'aria caliginosa intravede un campo con strani alberi, d’un pallido verde grigiastro, poggia i piedi sull'erba e prova un refrigerio. Più lontano un uomo curvo dissoda la terra. 

S’avvicina, e lui si dichiara il giardiniere dell’Ade. - Com’è possibile senza sole? - mormora la “piccola Dea “ allo stremo delle forze, il contadino non risponde ma va all’albero più vicino, stacca un frutto lo apre e glielo porge.
- Vuoi avvelenarmi? - chiede in un sospiro, e l’altro dice che chi è dedito alla terra non può desiderare il male. 
Persefone annuisce, anche sua madre ama la terra, e il suo cuore è pieno d’amore per tutte le creature. Allunga la tenera mano e accetta il frutto che brilla di semi di granato. Lo porta alle labbra.

Demetra percorre ora il corridoio dell’Ade e i defunti gelidi le corrono incontro, le chiedono panni per scaldarsi, e la Dea pietosa si toglie le vesti e le dona, senza fermarsi. Sempre più numerose le torme dei morti le balzano attorno ed ella dà tutto, pure nastri e gioielli. 

Compaiono i mostruosi cani dell’Ade, ma a un cenno le danno il passo, riconoscendo l’antica Ecate. "E' tornata" sussurrano le fiere inquiete "Ed è forte come allora" e le fanno ala al passaggio.
Vaga come una Menade invasata e i demoni l’attorniano ma non osano toccare la Dea dagli occhi di fiamma.

Finalmente giunge nell’antro gigantesco di Plutone (o Dioniso?). Il Dio è sul trono, orribile a vedersi, puzzolente, con pelo di capra, criniera da leone, coda di serpe e corna da toro. I suoi occhi sono ciechi perché nel buio non c’è nulla da vedere.

- Rendimi la figlia - grida Demetra con freddo furore - o sterminerò il mondo dei viventi! -
Il Dio oscuro ride, e i demoni con lui, un lungo, osceno latrato che empie la sala di miasmi. La voce proviene da mille bocche, con un’eco spaventosa:

- Sono il re dei morti, dici che vuoi moltiplicare il regno dei miei sudditi? -

- Scellerato caprone, - tuona la Dea - se stermino i mortali non ci saranno più figli, e quando le tue ombre si dissolveranno resterai senza morti, e sarai Signore del nulla! -
Ade ruggisce, si contorce, e la coda sibila furiosa. Infine parla di nuovo:

- A due condizioni, che mi regali ciò che non ho avuto e mai potrei avere, e che Persefone non abbia accettato cibo dall’Averno. -
Sogghigna nel cuore, perché egli può avere ciò che desidera, nel Tartaro profondo custodisce enormi ricchezze.

Demetra accetta, perché crede in sua figlia e perché può dare al ricco Dio qualcosa che non ha mai avuto e che non può avere, se non tramite lei. Si toglie i bellissimi occhi e li porge al Dio. Ade è soddisfatto, perché ora potrà guardare Persefone, la stupenda.

Quando finalmente vede nel buio, scorge per primo il volto bellissimo della Dea senza occhi. Demetra è la statua del dolore, ma non piange, e Pluto s’accorge che avere la vista è un dono prezioso e crudele, perché guardando la Dea gli scendono lacrime che bruciano.


Nel tempio

Le sacerdotesse, sedute sulla nuda terra, battono cadenzati i pugni sui tamburelli a terra, cantando la lugubre nenia, ed una suona le note accorate d’uno zufolo.

- La Dea senza occhi,
nudo il corpo come una ninfa al fiume,
taglia i lunghi capelli per farne una fune
e la lega alla coda del Dio,
che per ingannarla non la lasci sola,
e giunge nei campi dell’Ade,
ma non trova la Persefone di prima.
Sua figlia irraggia luce dal corpo,
e le chiome sciolte sembrano onde del mare.
Corre dalla madre e l’abbraccia,
straziata alla vista di lei:

"Madre, dolcissima madre,
la più grande delle madri,
chi tolse gli splendidi occhi di turchese
che s’illuminavano al guardarmi,
chi tagliò le splendide chiome
bionde come il grano maturo,
chi rubò le tue vesti regali?"

"Per te, figlia adorata,
avrei strappato anche il cuore,
per salvarti dall’inferno maledetto."

Ora Dioniso guarda la bella Persefone e la desidera come l’unica cosa che conti, e guarda il corpo nudo della Dea, e ne ha paura, guarda le occhiaie vuote, e ne ha una pena infinita.

Ora che Ade può vedere con gli occhi della Dea, vede tutto l’amore e tutto l’odio del mondo, tutta la gioia e tutto il dolore. Vuole amare Persefone ma sente quanto finora l’amore gli è mancato, e prova un orribile dolore, tanto forte che vorrebbe strapparsi gli occhi. Ma Persefone, che ha mangiato sette chicchi di melograno, esattamente sette, ha pietà del Dio ferito nel cuore, e mentre con una mano carezza il volto della madre, con l’altra sfiora il viso del Dio.

Narrano le sacerdotesse che Pluto non vuole lasciare Persefone, che ora ama più di se stesso, e chiede a Demetra di rispettare la promessa, non può trarre la figlia che ha mangiato il frutto dell’Ade.

Ma Persefone si dichiara libera, proprio perché ha assaggiato il melograno, e ha scorto i suoi colori lunari: il nero, il bianco e il rosso. Nero come Ade, bianco come la sua anima-luna, e rosso come il fuoco d’amore di sua madre.



ADE DIONISO

Demetra aggiunge che Plutone sarà distrutto, perché non si guarda impunemente la nudità della Dea, ma Ade è un Dio anch’egli, e morire non può, ma come l’uva si muta in vino, lui si trasforma, e prende sembianze umane. 

Ora è bellissimo, e un tralcio di vite gli orna la fronte, e lo segue una pantera, nera come la luna nera.

Persefone e Demetra sono tanto vicine tra loro che le chiome coprono anche la testa di Demetra la calva, così vicine da fondersi, di due si fanno una, donna e ragazza insieme, e insieme formano la Luna.

Sembra che da quel giorno l’Ade non sia più così buio, che lo rischiari la piena luce lunare, che le nozze tra i due furono splendide, e la terra germogliò per la loro felicità. 
I tre Dei son così uniti da essere uno solo, e le Dee sono due in una, e percorrono su un carro trainato da cani latranti il profondo dell’Ade, e da un cocchio di cervi la terra rigogliosa. Ora sono Signori dei due mondi, e gli Dei non possono farci nulla. 
Ma già, tanto gli Dei non s’accorgono mai di niente. In quanto agli uomini, creano i miti senza capirli…



I SACRI MISTERI

Chi è Demetra-Cerere, chi Core-Persefone-Proserpina, Ade-Pluto-Dioniso, e l’ortolano dell’Ade? L’ortolano era Ade, ovvero la parte di lui che amava far germogliare la terra, una parte declassata, vecchia, che lavora pazientemente nell’ombra, ma viva. La parte che lavorava per la vita, la parte creativa confinata nel profondo, cui Persefone apre i cancelli, e ne gode il frutto lunare.

Se non c’è l’ortolano non c’è redenzione. Senza ortolano niente melograno, niente risveglio di Persefone e niente luna, se non c’è Persefone redenta Demetra non riacquista la vista. Senza l’ortolano Ade non si trasforma, Demetra e Persefone non si fondono e Ade non si fonde con Persefone-Demetra per formare un tutt’uno, una Trinità perfetta, addirittura Santissima. E’ chiaro? Forse no. D'altronde sono i Sacri Misteri.
Allora rivediamo il mito, ma non si discuta l’aver unito Demetra con Psiche, Iside, Inanna, Ishtar, Diana ecc. tanto il mito è lo stesso. Demetra, Persefone, Ade e l’ortolano sono una persona sola. Come Seth e Osiride erano uno solo ma s’odiavano, finchè lo stesso Osiride scende nel Tartaro a governare i morti.

Demetra ama d’amore infinito sua figlia, ma il suo amore non è stato mai posto alla prova, (cioè non era sceso in terra), quindi non ha permesso di farne uscire la potenza trasformatrice. E’ la sofferenza che esalta l’anima, oppure la uccide. Persefone è la figlia candida che ama tutto ma conosce solo gioia perché sua madre la ripara dal male, non conosce dolore o sofferenza, quindi neppure pietà.

Ade è condannato alla cecità degli inferi, non conosce la sua pena perché non sa che può essere amato, non conosce l’amore e non gli manca. Quando se ne accorge prova un dolore folle, e trema nel vedere il corpo nudo della Dea, perché lei è luna ed anima che ama, al vederla Ade soffre tanto da volerne fuggire e ripiombare nella grigia anestesia.

L’ortolano è il “deus ex machina”, per secoli e millenni ha coltivato un orto in attesa che un giorno qualcuno ne mangiasse il frutto, e conoscesse l’orrore dell’infero.

Ade è orribile perché disperato, il dolore l’ha reso cattivo, ma non sa di soffrire tanto, perché è arido e secco. Eppure lui è figlio della luna nella sua qualità dionisiaca, e la luna è soccorritrice di tutti i mali. L’amore di Persefone lo salva, ma anche l’amore di Ade salva lei, altrimenti resterebbe figlia, sempre amata, ma senza amare davvero.

Demetra ama infinitamente, senza aspettarsi nulla, mentre gli amanti aspettano qualcosa dall’altro. Ama la figlia e non ha bisogno che la figlia l’ami, e avrebbe sceso l’infero anche se la figlia non l’avesse amata, perché l’amore d’una madre è il più forte del mondo. Essa è luna piena, e Persefone è luna vergine, o luna nuova, le lune che s’avvicendano all’infinito, come il giorno e la notte di cui chiedeva la Sfinge.

Ora è più chiaro, ma non del tutto, e occorre guardare il mito di nuovo, sotto un’angolazione più ampia.

Demetra è la madre, Persefone la figlia amante, Ade la morte. Demetra crea la vita, Persefone la rinnova e Ade la uccide. Separati hanno cicli limitati, uniti rinnovano il ciclo della vita. Ad ogni morte succede una rinascita, una crescita, una morte, una rinascita, all’infinito. Tanto nella vita quanto nell’anima di ognuno. Nascita, crescita e morte: questo è il Mistero della Santissima Trinità... e questa è la Sfinge.



IL MITO SVELATO

Demetra, Persefone, Ade e l’ortolano sono il percorso dell’anima per ritrovare la sorgente universale. Persefone è Demetra bambina, l’anima non mentalizzata, la parte incontaminata dal dolore, selvaggia e libera, naturale. Demetra diventa donna e dimentica il suo passato, come tutte le donne.

Nel percorso evolutivo ne sente la dolorosa mancanza e va a cercarla nel buio dell’astrale umano, dove vivono larve e mostri. Nel viaggio perde tutto ciò che ha avuto in terra, ciò che l’esterno le ha dato, perde gli schemi introiettati, può fidarsi solo di sè. Ade è l’istinto mentalizzato, discostato dall’anima e dall’amore, la mente disperata che partorisce mostri in astrale. 

Persefone assaggia il frutto della terra acquistando le qualità materne della consapevolezza sul mondo, Demetra si priva della vista che le hanno dato gli altri, cioè il guardare il mondo secondo uno schema, e segue la vista interiore, come Lamia, Tiresia, Omero e S. Lucia, tutti ciechi e veggenti.

E’ sempre la parte giovane che salva il mondo, Demetra ritrova la saggezza dell’istinto primevo, senza perdere la pietà per gli altri. Così non si disfa di nulla, ma accoglie in sé Persefone, Ade e l’ortolano. Ora nessun mondo le è estraneo, e neppure l’universo. Finalmente ricorda chi era. Questa è la grandezza del femminile.

L'ultimo vaso di Pandora s'è dischiuso, compare la Dea Primigenia che s’inebria di vino e carne, fregandosene delle regole e mortificazioni del Dio maschio. Che la riconoscano o meno la danza del cosmo la fa lei, attorno al noce si scatena lei, il Sabba o Sabato lo fa lei, l’orgia del creato la conduce lei. Il maschile tenta inutilmente di arginarla, lei danza e produce come vuole, agitando i veli colorati dell’arcobaleno, arco divino di pace fra cielo e terra.

SE NON M'IMMERGO NON MUOIO, MA NEMMENO VIVO

2 commenti:

  1. Buonasera. Posso sapere a chi appartengono i versi dedicati a Demetra e Persefone trascritti nel testo di questa pagina?

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  2. Spero non deluderti... sono miei...

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